Inclusione degli incisivi centrali superiori: eziologia, diagnosi e piano di trattamento

INTRODUZIONE

Gli elementi dentari che più frequentemente risultano inclusi sono: terzi molari inferiori e superiori, canini superiori, premolari e incisivi centrali superiori, seguiti da canini inferiori e premolari2.
Sebbene il canino superiore sia l’elemento più frequentemente incluso in regione premaxilla, l’inclusione dell’incisivo centrale superiore pone un problema in età precoce41. Le inclusioni  degli elementi permanenti raramente vengono diagnosticate in dentizione mista e, usualmente, sono corrette in dentizione permanente inserite in un quadro terapeutico ed ortodontico più ampio. Di notevole eccezione è, invece, l’inclusione dell’ incisivo centrale6-50 che, per la particolare localizzazione, è abitualmente diagnosticata precocemente a causa della preoccupazione dei genitori per il ritardo di eruzione  dell’elemento, spesso messo in evidenza dalla presenza degli incisivi laterali. La mancata eruzione dell’incisivo centrale, oltre a causare problemi di ordine estetico e dentale, può causare anche gravi problemi psicologici39-33.   La frequenza di inclusione degli incisivi centrali superiori varia dallo 0.06% allo 0.2%12;17;33;25 e tipicamente viene diagnosticata tra gli 8 e i 10 anni di età28. Gli incisivi centrali superiori sono i terzi denti più frequentemente inclusi nei soggetti Caucasici, dopo il terzo molare e il canino superiore. In numerosi studi è stato messo in evidenza che la causa più frequente di inclusione degli incisivi è la presenza di elementi soprannumerari che costituiscono ostacolo all’eruzione10;22;50. Questi ultimi possono impedire l’eruzione del dente nel 26%-52% dei casi, causare eruzioni ectopiche, spostamenti o rotazioni degli incisivi nel 28%-63% dei casi e depiazzare labialmente gli incisivi nell’ 82% dei casi26;41. La probabilità di inclusione aumenta nei pazienti affetti da patologie congenite come disostosi cleidocranica, Sindrome di Down, Sindrome di Gardner, labiopalatoschisi o Sindrome di Pierre-Robin2;20.
Diverse sono le opinioni concernenti l’esatta epoca di intervento così come diverse sono le possibilità di trattamento. In seguito ad un’attenta anamnesi, ad un accurato esame obiettivo ed a un’indagine radiografica, la scelta della modalità terapeutica scaturisce dalla valutazione dei fattori eziologici, dall’eventuale presenza di condizioni patologiche associate, dalla posizione, dalla morfologia corono-radicolare e dal grado di maturità apicale. Questi fattori dettano il tipo di scelta terapeutica: la probabilità o meno di eruzione spontanea dell’elemento dopo trattamento chirurgico conservativo, la necessità di intervento con esposizione dell’incluso e applicazione di trazione ortodontica o l’indicazione all’avulsione dell’elemento.

Eziologia e patogenesi

L’eziologia della ritenzione dentaria non è univoca, ma svariati sono i fattori che possono determinare o favorire l’insorgenza di questa affezione. Si possono schematicamente distinguere diversi fattori eziologici di diversa origine: generali, strutturali e locali.
I fattori generali, sono condizioni sistemiche predisponenti, rappresentate dall’ereditarietà, dalle disendocrinopatie, dalle malattie dismetaboliche e da quelle infettive.
I fattori eziologici strutturali delle ossa basali e dell’apparato neuromuscolare devono essere considerate cause determinanti o predisponenti. Fattori eziologici strutturali sono considerati anche  condizioni patologiche congenite associate che, manifestandosi con malformazioni dentoscheletriche, facilitano l’instaurarsi di inclusioni dentarie.
I fattori eziologici locali costituiscono le cause più numerose e frequenti e sono considerati determinanti nella patogenesi dell’inclusione poiché, agendo sul germe o sul follicolo, sul dente, sul tessuto osseo o sulla struttura parodontale, influenzano direttamente la formazione o l’eruzione dell’elemento dentario. Essi possono essere correlati alla dentizione decidua, a quella permanente o rappresentare un ostacolo meccanico all’eruzione3.

  • I fattori correlati alla dentizione decidua sono correlati alla persistenza o perdita precoce. La persistenza può essere dovuta ad anchilosi radicolare, pregressi trattamenti endodontici o a flogosi croniche periapicali; queste situazioni, alterando il processo di rizalisi, causano la permanenza in arcata degli elementi decidui oltre la fisiologica epoca di eruzione. La perdita precoce, invece, può avvenire per estrazione, carie, trauma. Essa può causare anomalie di eruzione per perdita di spazio per migrazione o inclinazione degli elementi decidui oppure per ostacolo meccanico costituito dalla formazione di cicatrice fibromucosa iperplastica o di tessuto osseo particolarmente spesso2.
  • Diversi sono i fattori correlati alla dentizione permanente. L’anchilosi radicolare è legata ad alterazioni a carico del legamento parodontale, per lo più a causa di traumatismi localizzati, che determinano riassorbimento con progressiva invasione del tessuto osseo e successiva anchilosi. Le anomalie di forma e volume corono-radicolari sono dovute ad alterazioni del processo di morfodifferenziazione durante il periodo embriogenetico. Tali malformazioni comportano incongruità dimensionali tra volume della corona e spazio in arcata e le irregolarità radicolari condizionano la spinta eruttiva nella giusta eruzione3. Le anomalie di posizione o di decorso eruttivo sono correlate allo “spostamento primario del germe” (Luniatschek), per cui il germe dentario risiede in zone lontane dalla sede di eruzione o per “spostamento secondario del germe” (Scheff) nei casi in cui il germe per cause idiopatiche, anatomiche, traumatiche o patologiche migra in sede diversa da quella fisiologica dove può trovare particolari situazioni anatomo-topografiche che ne ostacolano l’eruzione8. È stato riscontrato, inoltre, come l’agenesia o il ritardo di sviluppo dell’incisivo laterale superiore determini anomalie del percorso eruttivo dell’incisivo centrale21.
    L’alterazione del meccanismo eruttivo
    è responsabile dell’allontanamento o dell’arresto del regolare progredire dell’elemento verso la sua posizione fisiologica, con conseguente inclinazione degli elementi erotti e perdita di spazio. Le anomalie della sequenza eruttiva  determinano inclusione quando un elemento erotto precocemente occupa una sede destinata ad altro elemento permanente causando, così, alterazioni dello spazio disponibile.
  • I fattori che costituiscono ostacolo meccanico all’eruzione dentaria. La disarmonia dentoalveolare, e quindi la discrepanza tra la lunghezza dei processi alveolari e i diametri mesio-distali delle corone, è responsabile di inclusioni dentarie per mancanza di spazio adeguato al corretto posizionamento degli elementi dentari. I soprannumerari rappresentano un’anomalia di numero in eccesso della dentizione decidua e permanente che, se interposti lungo il tragitto eruttivo degli elementi permanenti determinano un ostacolo all’eruzione2. La letteratura riporta che l’ 80%-90% di tutti i soprannumerari si localizza in zona mascellare, in particolare in regione premaxillare26;41. Il mesiodens è un tipico soprannumerario che si riscontra in zona incisale superiore con una frequenza pari allo 0.15%-1.9%. Quest’ultimi, frequentemente, interferiscono con l’eruzione e l’allineamento degli incisivi centrali superiori. Essi possono ritardare o impedire l’eruzione degli stessi elementi nel 26%-52% dei casi, causare eruzione ectopica, spostamento o rotazione dal 28% al 63% dei casi e dislocazione labiale nel 82% dei casi26;41. Meno frequentemente le complicazioni coinvolgenti gli incisivi includono dilacerazione, riassorbimento radicolare e perdita della vitalità del dente. La forma conica usualmente si localizza palatalmente in prossimità dell’incisivo centrale superiore, tendendo a dislocare l’elemento stesso in eruzione. La forma tubercolata, sebbene erompa raramente, causa più facilmente, al contrario della forma conica, un ritardo d’eruzione degli incisivi permanenti26;41. Gli odontomi, altra causa di inclusione, rappresentano il 22% dei tumori odontogeni, si presentano asintomatici, a crescita lenta e come un’immagine radiopaca all’esame radiografico. Sono suddivisi in complesso quando è costituito da ammassi di tessuti duri dentali scarsamente definiti e composto quando i tessuti duri dentali sono ben organizzati in strutture simil-denticolari. L’odontoma composto comunemente si localizza in regione mascellare anteriore  e l’odontoma complesso è, invece, frequentemente localizzato in regione premolare-molare di entrambi i mascellari9;18. Gli odontomi possono causare inclusione, ritardo o ritenzione degli elementi dentari. Le altre neoformazioni odontogene, come ameloblastoma, mixoma, e quelle cistiche possono agire anche per il coinvolgimento della gemma in via di sviluppo e per il depiazzamento che subisce il dente a causa della loro crescita espansiva. Particolare attenzione va rivolta alle cisti follicolari che più che un fattore di ritenzione, devono essere considerate una complicanza displastica conseguente all’inclusione di un elemento dentario, il cui sacco va incontro a degenerazione cistica. I frenuli, infine ostacolano l’eruzione degli incisivi centrali superiori solo eccezionalmente quando sono costituiti da ampi fasci fibrosi che si inseriscono, irradiandosi, nel connettivo della mucosa crestale. I traumi agiscono direttamente sul germe dell’elemento permanente in caso di fratture ossee, o indirettamente, quando l’insulto traumatico viene trasmesso dal dente deciduo3. I denti più colpiti da eventi traumatici sono gli incisivi centrali superiori (50%) e laterali superiori (30%) sia nei decidui che nei permanenti38, causando alterazioni a carico della corona o della radice e lesioni cistiche che impediscono la fisiologica eruzione degli elementi dentari coinvolti12;33;39.

2. LA DIAGNOSI PREOPERATORIA

Gli elementi necessari a porre diagnosi di dente incluso sono anamnestici, clinici e radiografici.
L’anamnesi deve mettere in evidenza tutte quelle condizioni patologiche congenite a cui è spesso associata l’inclusione, come la displasia cleido-cranica, la sindrome di Gardner, e la labiopalatoschisi20;29;56, e quelle situazioni pregresse (ereditarietà, malattie dismetaboliche ed infettive), che possono configurarsi come fattori eziologici. È inoltre indispensabile indagare sulle condizioni generali di salute del soggetto, per accertare l’esistenza di patologie sistemiche o d’organo che possono condizionare o controindicare un eventuale trattamento terapeutico.
L’esame clinico raccoglie i dati semeiologici delle strutture maxillo-facciali e dento-parodontali, utilizzando essenzialmente le manovre diagnostiche di ispezione e palpazione. All’esame obiettivo del cavo orale è possibile avanzare il sospetto diagnostico in base alla costante presenza di alcuni rilievi semeiologici. La permanenza del deciduo oltre il limite fisiologico, oppure la sua esfoliazione non seguita dall’eruzione del corrispettivo dente permanente sono le situazioni di più frequente riscontro, mentre più rara è la presenza, sul versante orale o vestibolare dei mascellari, di una tumefazione che, in rapporto alla sua consistenza, può essere riferita alla localizzazione superficiale dell’incluso o all’esistenza di complicanze di tipo cistico. Alla diagnosi clinica contribuisce spesso la presenza di anomalie ortodontiche dentali o dento-scheletriche, quali: la modificazione di posizione dei denti permanenti contigui (rotazione, dislocazioni, inclinazioni) dovute al fatto che l’anomala posizione dell’incluso, la mancanza di spazio o il fattore ritentivo agiscono tramite fenomeni di dislocazione e collisione in grado di determinare la migrazione della gemma del permanente che si trova contigua al loro fisiologico tragitto eruttivo; i diastemi, soprattutto quello mediano interincisivo; l’affollamento. La presenza di discromie e fratture coronali avvalora, invece, il sospetto che l’inclusione sia conseguenza di un pregresso evento traumatico. Il rilievo di una sintomatologia soggettiva avvalora, infine, il sospetto diagnostico di una cisti follicolare o, con frequenza minore, di un processo infiammatorio o infettivo di tipo periapicale o parodontale nella zona di inclusione. La diagnosi, tuttavia, deve essere confermata radiograficamente e spesso avviene in conseguenza di esami radiografici occasionali, soprattutto ortopantomografie2;53.

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FIG 1:Esame obiettivo intraorale: si nota la persistenza del 5.1 e 5.2, la presenza di 2.1 e l’assenza di tumefazioni;

Gli accertamenti radiografici, indispensabili ai fini di una corretta programmazione terapeutica, debbono consentire di rilevare le caratteristiche morfologiche e spaziali dell’elemento dentario, i suoi rapporti con le strutture anatomiche contigue, la presenza di condizioni patologiche associate (dilacerazione, cisti, soprannumerari), lo spazio disponibile od ottenibile per il corretto allineamento in arcata del dente incluso. Ciascuna metodica radiografica consente di acquisire l’esatta individuazione di uno o più parametri, quali: la localizzazione, cioè la sede di inclusione individuata sui piani frontale, coronale e sagittale; l’inclinazione, che è l’angolo formato dall’asse lungo dell’incluso con ciascuno dei tre piani; la posizione, la quale definisce i rapporti che la corona del dente contrae con le radici degli elementi contigui; la morfologia corono-radicolare2. La radiografia orto panoramica, nel caso specifico dell’inclusione, oltre a fornire la certezza diagnostica, definisce la localizzazione e l’inclinazione dell’incluso sul piano frontale, la sua posizione, la morfologia corono-radicolare, i rapporti con le strutture anatomiche adiacenti e l’eventuale presenza di condizioni patologiche associate2. La radiografia endorale occlusale, che va eseguita in proiezione centrica nei settori anteriori e in posizione eccentrica in quelli latero-posteriori2;47, contribuisce a definire la localizzazione dell’incluso, indicandone la distanza dalla linea mediana e la prospicienza orale o vestibolare2;26;29;43;47, a seconda che l’immagine dell’elemento dentario si proietti all’interno o all’esterno dell’arcata, e permette di valutare l’estensione di eventuali condizioni patologiche presenti. Nell’arcata superiore mette in evidenza, inoltre, l’inclinazione del dente rispetto al piano sagittale, la sua posizione e la morfologia corono-radicolare, soprattutto quando esso giace sul piano orizzontale2;47.  La radiografia endorale iuxta-gengivale è quella che meglio definisce i rapporti mesio-distali e apico-coronali dell’incluso con gli elementi contigui ed è utile per una più dettagliata analisi della morfologia corono-radicolare del dente e delle condizioni patologiche eventualmente associate, quali l’anchilosi e il riassorbimento radicolare2. Per questo radiogramma possono essere impiegate due tecniche di proiezione endorale: la tecnica parallela e la tecnica dell’angolo bisecante. Informazioni precise sulla localizzazione orale o vestibolare dell’elemento in eccesso incluso si possono ottenere2;15;43;47 con la “regola dell’oggetto buccale”26;43, altrimenti conosciuta come regola di Clark. La teleradiografia latero-laterale è utile nell’inclusione dei denti anteriori superiori2;53 perché permette di valutarne la localizzazione e l’inclinazione sul piano sagittale, considerando i rapporti che questi contraggono con il piano occlusale, con quello palatino, e con la linea A-Pogonion, cioè la linea che unisce il punto più retruso del mascellare superiore con il punto più prominente della sinfisi2. Quando, in presenza di casi clinici complessi2;27;51;53, come si verifica in occasione di soprannumerari multipli27;53 o elementi localizzati in prossimità di strutture anatomiche importanti, le indagini radiografiche convenzionali non permettono di formulare una diagnosi precisa o di elaborare una corretta programmazione terapeutica, è indispensabile ricorrere all’esecuzione di una Tomografia Computerizzata (TC), meglio se con programma dedicato Dentascan2;27;39;51;53. Questa metodica, infatti, possedendo un potere di risoluzione superiore e consentendo ricostruzioni tridimensionali con immagini in rapporto di 1:1 fornisce una migliore definizione di tutti i parametri anatomo-topografici che caratterizzano l’inclusione2;27;51.

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Fig.2. Rx ortopanoramica che evidenzia l’inclusione alta del 1.1 per la presenza di elementi soprannumerari e l’assenza di inclinazione importante.

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Fig. 3. Sezioni parassiali della TC Dentascan che evidenziano la presenza di 3 elementi soprannumerari con prospicienza palatale e l’inclusione di 1.1.

3. IL TRATTAMENTO TERAPEUTICO

Per la varietà di fattori eziopatogenetici ed anatomo-clinici con cui la ritenzione dentaria si manifesta8, la scelta della modalità terapeutica scaturisce dalla valutazione dei fattori eziologici, dalla presenza di condizioni patologiche associate, dalla posizione, dalla morfologia corono-radicolare dell’elemento non erotto, dall’esame dei rapporti con le strutture contigue ed i denti adiacenti e, soprattutto, dalla presenza o meno della vis eruttiva, correlato alla presenza o meno di apice beante e legamento parodontale troficamente attivo2Holland raccomanda l’attenta valutazione di tali fattori prima di programmare il tipo di trattamento della disinclusione dell’elemento dentario33. Il tempo ottimale per l’intervento chirurgico, tuttavia, resta controverso23;24;40. La letteratura non  indica qual è l’età ottimale per l’intervento. Il trattamento precoce è presumibilmente più facile da compiere, richiede meno tempo ed è meno dispendioso, semplificando e migliorando la prognosi1;24, ma comporta la possibilità di danneggiare gli elementi dentari adiacenti23. Diagnosticata l’inclusione, dovrebbe essere stabilito ed iniziato il trattamento al fine di evitare ulteriori disturbi durante l’eruzione e lo sviluppo occlusale e prevenire complicazioni come riassorbimento o inclinazione degli elementi adiacenti verso lo spazio edentulo o riassorbimento osseo9;24. Un intervento tardivo, invece, comporta il rischio di perdere la vis eruttiva dell’elemento, determina la perdita dello spazio in arcata ed uno spostamento della linea mediana23;24;42.  Qualora, infatti, l’elemento ritenuto ancora non può erompere spontaneamente, è indicato un secondo o un terzo intervento con esposizione dell’elemento ed applicazione di sussidio ortodontico6;9;23;24.
Le diverse metodiche adottabili sono:


Il metodo chirurgico conservativo
è una modalità terapeutica di tipo eziologico volta al recupero del dente e rappresentata da diverse tecniche operatorie, differenti  rispetto alle varie situazioni cliniche, che sono in grado di ottenere da sole la risoluzione del quadro patologico:
trattamento delle condizioni patologiche che ostacolano l’eruzione (decidui, soprannumerari, odontomi e cisti):consiste nell’eliminare l’impedimento meccanico che, interposto lungo il fisiologico decorso eruttivo dell’incluso,non ne permette la normale egressione.
alveolectomia conduttrice: consiste nell’eliminazione del tessuto osseo e/o fibro-mucoso di ostacolo alla normale eruzione di un elemento dentario e nel successivo mantenimento della pervietà del tragitto eruttivo neoformato.
allineamento preventivo e riposizionamento forzato: metodiche chirurgiche tese a modificare, mediante un’azione lussativa, l’inclinazione assiale del dente fino a che lo stesso non si trovi allineato lungo il suo fisiologico tragitto eruttivo. Si differenziano tra loro per il tipo di movimento imposto all’elemento dentario:nell’allineamento preventivo lo spostamento ha come fulcro l’apice, che rimane nella sua posizione originaria, mentre nel riposizionamento forzato, la mobilizzazione è corporea, coinvolgendo l’intera radice.
autotrapianto:indicato in tutti i casi in cui con altre tecniche il recupero dell’incluso si presenti complesso e di notevole durata o addirittura impossibile, oppure in pazienti che rifiutino il trattamento ortodontico. Consiste nel trasferimento di un elemento dentario autologo dalla sede originaria in un alveolo appositamente preparato nella compagine dell’osso alveolare.

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Fig. 4-5. Incisione di un lembo intrasulculare palatale da 5.4 a 6.4; Scollamento del lembo.

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Fig. 6-7. Estrazione di 5.1 e 5.2, breccia ossea ed esposizione dei soprannumerari; Avulsione degli elementi soprannumerari.

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Fig. 8-9. Reperto operatorio: elementi soprannumerari e decidui estratti (5.1-5.2); Riposizionamento del lembo e apposizione di punti di sutura.

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Fig. 9 a-b. Esame obiettivo a 3 e 6 mesi.

 

Il metodo chirurgico ortodontico è una procedura che ha lo scopo di applicare sull’elemento incluso un sussidio ortodontico volto ad esercitare una trazione. È quindi indifferente se l’elemento sia incluso o ritenuto, mentre è indispensabile che le anomalie di sede, posizione e inclinazione siano tali da consentire l’esposizione chirurgica della corona, l’applicazione di un ancoraggio e che sia possibile ottenere l’egressione dell’incluso.

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Fig. 9 c. Esame obiettivo a 9 mesi che evidenzia l’eruzione del 1.2 e la perdita di spazio per l’eruzione del 1.1.

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Fig. 10-11. II intervento chirurgico: lembo intrasulculare trapezoidale esteso da 1.2 a 2.1; Scollamento ed esposizione dell’elemento 1.1 in inclusione superficiale.

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Fig. 12-13. Applicazione di sussidio ortodontico; Riposizionamento del lembo e applicazione dei punti di sutura.

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Fig. 14. Esame obiettivo a 6 mesi che evidenzia il trattamento ortodontico, il recupero dello spazio e l’emergenza di 1.1.

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Fig. 15. Rx ortopanoramica a 12 mesi: si nota l’elemento 1.1 in corretto allineamento in arcata.

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Fig. 16. Esame obiettivo a 14 mesi.

Il metodo ortodontico consiste nel recupero del dente non erotto conseguito esclusivamente con la correzione dell’anomalia dento-alveolare responsabile dell’inclusione. La sua applicazione è subordinata, però, all’esistenza di alcune condizioni essenziali correlate all’elemento dentario che deve essere ritenuto, cioè dotato di vis eruttiva e presentare una sede, una posizione o un’inclinazione tali da consentire a quest’ultimo un regolare decorso eruttivo; deve essere, inoltre, in prossimità della cresta alveolare e non avere alterazioni della morfologia corono-radicolare.

Il metodo chirurgico radicale, invece, comporta l’avulsione dell’incluso ed è indicato in presenza di gravi anomalie di localizzazione, posizione e inclinazione; nei casi di notevoli alterazioni della morfologia corono-radicolare; complicanze nervose, flogistiche, meccaniche e displastiche che controindichino la preservazione dell’elemento. In ultimo, va considerata la richiesta del paziente o dei genitori che rifiutano altro tipo di prestazioni.

La scelta dell’una o dell’altra modalità terapeutica è condizionata, soprattutto dalle caratteristiche dell’inclusione, ma anche da ulteriori fattori: l’ età del paziente per le correlazioni con l’apparato dento-scheletrico che può agevolare o rendere complesso il recupero dell’elemento dentario; l’analisi delle aspettative del paziente e del suo back-ground familiare ed economico che possono influenzare la scelta del trattamento; le condizioni cliniche sistemiche e locali. È sconsigliabile una terapia disinclusiva nei soggetti con grave compromissione sistemica così come nei pazienti con elevata cario recettività, ipertrofia gengivale e nei pazienti che non sono in grado di garantire un’adeguata igiene orale. Altri fattori possono essere la durata della terapia e la prognosi, cioè la possibilità di successo che ciascuna terapia presenta, tenuto conto di tutte le variabili anatomiche e fisiologiche2.
Quindi, i fattori che condizionano la scelta terapeutica riguardano:

  • Il dente incluso: caratteristiche anatomo-topografiche, eziopatogenesi.
  • Il paziente: età, aspetti psicosociali, condizioni cliniche sistemiche, situazione clinica locale.
  • Il tipo di trattamento: durata e prognosi2.

 

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